Trascrizione del discorso tenuto in occasione della presentazione ufficiale del libro: L’ancona dei Cappuccini di Guardiagrele e il suo restauro. Raccolta di notizie storiche, tecniche e metodologiche, il giorno 2 agosto 1998.
A volte, pare veramente che nelle faccende degli uomini agisca la hegeliana «astuzia della ragione», la cattolica Provvidenza, che si serve degli affetti e delle passioni degli uomini, come degli eventi contingenti, o che contingenti appaiono a prima vista, per raggiungere i suoi scopi. Voglio dire che nei giorni in cui Sergio è venuto da noi con il suo progetto, la pubblicazione di questo libro, si sono intrecciati con la sua proposta almeno altri due fatti significativi, (significativi per chi li sa leggere) per cui c’è stata una convergenza di più forze, tutte nella stessa direzione.
Proprio all’ingresso del Comune, un operaio stava ripulendo una nicchia e, al sommo di essa, è apparso un cartiglio con una scritta che l’incolto stava colpevolmente per raschiare via. La scritta, in latino, recita; “Et macula originalis non est in te”. Nella nicchia doveva esserci la statua della Madonna senz’altro: della Immacolata Concezione. La scritta ci fornisce pure la probabile data della posizione del simulacro. Nello stesso tempo, si stavano sistemando al meglio gli Uffici del Comune e, in quello della Giunta, è stato posto il quadro che Sergio riproduce a pag. 51 e che raffigura la “Disputa sull’Immacolata Concezione”. Più volte mi sono soffermato ad osservato, e con me Argentino, soprattutto nel tentativo di decifrarne i simboli numerosi che vi sono rappresentati, anche perché il quadro non è in buone condizioni.
Ecco: Sergio viene da noi con un progetto relativo ad un quadro che affronta, come ci dimostra nel libro, proprio il tema dell’Immacolata Concezione (pag. 50), e su di esso porta una documentazione di prima mano ed uno studio approfondito. Aggiungo che si sta parlando, qui, di un quadro di fronte al quale ho sostato centinaia di volte, che ho “negli occhi”, fa parte della mia percezione e della mia esperienza vissuta infantile. Va detto, però, che d’esso avevo una percezione globale, hueretica, attenta a certi particolari che, chissà perché, mi avevano più colpito (per es. la figura di S. Giuseppe); ad es. non avevo mai notato lo stemma gentilizio che si trova alla base. Ora una osservazione accurata, analitica mi è possibile farla guidato per mano dal libro che stasera viene presentato.
2- Di questo libro, a mio giudizio, si possono mettere in evidenza almeno tre importanti valenze.
La prima: esso si presenta come il diario scrupoloso, dettagliato dei diversi momenti di una operazione di restauro (diciamo subito: uno dei pochi, se non l’unico di una tela) attivato nella nostra città negli ultimi tempi: ricordo la Madonna del latte sotto il portico di S. M. Maggiore; il portale di S. Maria Maggiore; la lunetta in fase di restauro…), dicevo: del restauro di un dipinto che viene riportato, per quanto è stato possibile, al suo antico splendore. Questi momenti non vengono soltanto descritti, ma tutti, uno per uno, giustificati e fondati sulla propria e sull’altrui esperienza.
Questo libro, pertanto, è un importante evento tecnico-scientifico, se così si può dire. Su questo aspetto, io non posso dire nulla, essendo del tutto incompetente in materia: posso solo affermare che, per un profano, le indicazioni offerte sono preziose perché lo introducono nel vivo del processo di restauro, nell’«officina» dell’esperto, e lo rendono partecipe di tutte le fasi e di tutte le operazioni poste in atto: e per il fatto che di esse viene sempre fornita la ragione, come dicevo prima, la conoscenza è fondata e giustificata. Insomma, quando Sergio lavora da esperto ci considera delle persone intelligenti e non è poco; fa appello alle nostre capacità logiche, e non pretende da noi atteggiamenti fideistici: ci vuole convincere ma sulla base di argomentazioni e dati scientifici.
La seconda valenza.
Questo libro, proprio perché cerca di giustificare gli interventi attuati, giusta la definizione di “restauro” che esso riporta nella prima pagina e che fa da criterio di riferimento (Restauro: «consiste in azioni dirette o indirette condotte su beni culturali danneggiati o deteriorati, allo scopo di facilitare la loro comprensione, rispettando il più possibile la loro integrità estetica, storica e fisica», pag. 7), si presenta come una documentata opera storica, che rintraccia in archivi e biblioteche le pezze di appoggio necessarie alla collocazione del dipinto nel tempo.
Su questo aspetto voglio presentare alcune riflessioni:
A pag. 182, concludendo la sua fatica, l’Autore, dopo aver avanzato delle ipotesi, augura «buon lavoro agli storici dell’arte» nella ricerca dell’autore del dipinto. Ad essi, secondo Sergio, «la materia compete». Sembra quasi che tra il lavoro del restauratore e quello dello storico dell’arte ci sia una netta distinzione di compiti.
In realtà, dalla lettura del libro risulta in modo evidente quando il lavoro dello storico e quello del restauratore siano intrecciati: «facilitare la comprensione» di un bene culturale che è compito del restauro, è possibile soltanto se il restauratore ha già una sua visione «storica» del problema; in altre parole, la comprensione è possibile solo sulla base di una pre-comprensione che consente al restauratore di intervenire in modo tale da non stravolgere l’opera, da non svuotarne il messaggio.
Ora, in più punti, io rilevo, in questo libro, che, come ho detto, è il diario di un intervento, la padronanza sicura di una prospettiva storica che impedisce fraintendimenti e favorisce, invece, una corretta, una fondata interpretazione. Questo è evidente, in modo particolare, nelle pp. 46-55, ove Sergio si sofferma su considerazioni di carattere iconologico. Queste considerazioni vengono ancor di più apprezzate se si tengono presenti le differenze più rilevanti che corrono tra l’arte contemporanea e quella che possiamo, per brevità, definire «classica». L’artista contemporaneo, pensiamo in particolare a questa nostra epoca definita post-moderna, esprime un messaggio suo, esclusivamente individuale «L’arte è una cosa privata. L’artista lo fa per sé stesso» (Manifesto Dada) «DADA non significa nulla». Di qui la proliferazione degli stili, con il conseguente rischio del soliprismo e dell’incomunicabilità.
L’artista classico, all’opposto, fa parte di una comunità, di questa comunità egli si sente parte: il suo dipingere (perché qui si parla di pittura, ma il discorso vale anche per altre arti, come poesia e la musica), ha un significato, deve avere un significato per tutti. L’arte è un sistema di comunicazione per tutto il gruppo.
Di qui l’accettazione di uno stile, proprio per poter parlare ed essere capito e lo […] di simboli a tutti comprensibili.
Tutto questo significa che una valutazione esclusivamente estetica, ora è quella che diamo noi oggi di un dipinto è parziale. Questa ancona, pala d’altare, come è messo bene in evidenza nel libro di Sergio, aveva una funzione didascalica: voleva insegnare ai fedeli, voleva comunicare un messaggio, quello che i committenti avevano incaricato al pittore di comunicare per loro ai fedeli.
Ora, per tornare al tema, solo la comprensione storica di certi risultati, di certe figure poteva permettere un restauro che facilitasse la comprensione del dipinto. Detto in altro modo, anche nel rapporto restauro – storia dell’arte si crea un circolo «ermeneutico».
Ho detto che si tratta di un’opera storica.
La cosa si vede benissimo allorquando l’Autore ci presenta documenti d’Archivio mai prima scovati che illuminano aspetti sconosciuti del passato di Guardiagrele. Leggendo, la nostra curiosità ne viene stimolata ed il libro, indirettamente, diventa un invito a cercare altrove, in altre direzioni, per non ripetere le solite cose dette e ridette. Del resto, a pag. 27 (nota 17), Sergio ci dice esplicitamente queste cose: ma è meglio non toccare questa piaga dolorosa. Qui viene sottolineato come in queste pagine dedicate alle fonti storiche, l’andamento del racconto, il suo ritmo, assume i caratteri del «giallo», trascinante, coinvolgente (pensiamo alle pagine relative all’indagine sullo stemma: pp. 20 -23 e 43 – 45), L’Autore, al pari di un poliziotto che fa le sue indagini, avanza delle ipotesi che si premura di sostenere o di falsificare. Il paragone non è fuori luogo: prima di tutto, perché è proprio così (si vedano, ad es., le pagine (p. 13) dedicate al padre Colagreco e alla fiducia da accordare alla sua “Storia di Guardiagrele”), poi si sente forte l’applicazione della logica scientifica, quella che ha trovato il suo teorico in Popper – Hegel, quella che si struttura in congetture/confutazioni. Del resto, Sergio cita, per altri motivi, esplicitamente Popper in esergo (pag. 6) e ne pratica, con consuetudine, i suggerimenti.
Popper è famoso per i suoi attacchi alla Scuola di Francoforte, ad Adorno, ad Habermas, tutti accusati di essere inutilmente osceni. Il filosofese è una piaga, ma lo sono pure il politichese, il sociologhese e, se è lecito un neologismo, il critichese, linguaggio fumoso, per iniziati, che nasconde invece di rivelare (en passant penso a Gombrich e alla sua profonda e chiara Storia dell’Arte).
Qui ci troviamo di fronte ad un’opera di valore scientifico, ma, nello stesso tempo, di divulgazione. L’intellettuale deve smettere l’atteggiamento di «profeta» e considerarsi debitore nei confronti di noi profani. La «missione del dotto» se era attuale ai tempi di Fichte, lo è anche oggi.
Per chiudere su questo secondo punto (la seconda valenza), pongo in evidenza un solo luogo dove l’entusiasmo forse prende l’autore del libro. È il punto dove si trascrive e commenta «Una descrizione antica della Guardia» trovata a Macerata (pp. 25-34), e precisamente dove si elencano le reliquie donate dagli Orsini (pag. 33 per la precisione).
Ora Sergio esprime un suo dubbio nella nota 7 di pag. 34, ma solo a proposito «Del latte e capelli della Madonna» e non lo esprime in toni molto forti. Nulla dice a proposito di «Una delle Spine della corona del Signore» e sul «Sangue miracoloso del Sig.re» (p. 33).
In realtà, a Sergio piace molto, troppo la tesi del Graal/Grele e lo dice esplicitamente (p. 27 nota 2 «il sottoscritto ritiene che l’etimologia del nome Grele, qui datata verosimilmente al periodo gotico, si possa mettere in relazione con il Graal, il calice che secondo le leggende medievali sarebbe stato usato da Cristo nell’Ultima Cena, oppure, plausibilmente, la coppa con cui Giuseppe d’Arimatea avrebbe raccolto il sangue di Cristo crocifisso»). (Film: Indiana Jones).
Perciò sottolinea che gli Orsini erano anche «Gran Maestri Gerosolimitani, Templari» (p. 33 nota 4).
Io, da parte mia, terrei presente quanto affermato dal prof. Carpineto in occasione del Convegno su “Nicola da Guardiagrele e il suo tempo” e cioè che Grele non deriva neppure da Aelion, come si pensa, ma da Ocrilis (ocris = monte), p. 63 sgg. E del fatto delle reliquie, che ebbe uno sviluppo considerevole a partire dal IV sec. d. C., assume i caratteri della vera e propria infatuazione in epoca carolingia e durante le Crociate. Il Concilio di Lione del 1247 intervenne in merito a consigliare prudenze e prudenze raccomanda la Chiesa, oggi: si teme giustamente la magia e l’idolatria (v. p. 1757 Grande Bignami delle Religioni). Ma sappiamo pure che molte reliquie tali non sono. Sono invenzioni. Le reliquie sono state «fabbricate».
E giungo alla terza valenza.
Per valorizzare il proprio patrimonio culturale è bene consultare l’estraneo, colui che è capace di guardare con occhio disincantato, alino dall’”ovvio” e, nello stesso tempo, capace di contestualizzare un evento. Gli storici locali, va detto, sono, spesso, se non sempre, patetici, mancano di prospettiva e scambiano lucciole per lanterne. Gli storici di Guardiagrele non sfuggono a questi limiti. Al riguardo nomino soltanto Filippo Ferrari e Nicola da Guardiagrele: e non dico di più. È vero pure, però, che l’estraneo, quasi sempre, non si interessa, forse giustamente, dei centri minori, la sua attenzione va solo ad opere di un certo rilievo. Oppure, quando si rivolge al «Minore» dice cose troppo generali che rischiano di essere generali. Si veda a tal proposito l’intervento di Sgarbi al Convegno nominato prima: dice cose interessanti, ma esso è più l’indicazione di un programma da svolgere, che un resoconto di risultati.
Solo un «locale» preparato professionalmente, aperto alle più vivaci, agguerrite e attuali tendenze della cultura che gli permettono di sfuggire al provincialismo può essere capace di illuminare in modo decente gli oggetti anche minimi della storia di un paese, perché essi sono le sue radici e, pertanto, esercitare anche una funzione pedagogica nei confronti di tutti.
Insomma, voglio dire: se Guardiagrele non interessa ai guardiesi, a chi può interessare?
È per questi motivi che ho delineato che ritengo prezioso il libro di Sergio Paolo Diodato: a lui, anche se è poco in confronto alla fatica da lui impegnata, un grazie di cuore, da amico e da guardiese.
Mario Palmerio٭
٭Pedagogista laureato alla Sapienza di Roma. Saggista. Ha insegnato Filosofia e Pedagogia nei Licei. Assessore alla Cultura nel 1998 e in seguito, per due volte, Sindaco del Comune di Guardiagrele. Direttore responsabile del mensile “Aelion”.