Malformazione del granciporro

Ipotesi per la rimozione di Alterizio dal sottotitolo del libro: Encausto sul muro

Tanto tempo fa, nei pressi della Villa dell’ultimo doge, due giovani colleghe, iscritte al primo anno di un prestigioso Corso di formazione per Restauratori, condividevano una stanza in affitto.
Una di notte leggeva molto, specialmente quando aveva difficoltà a prendere sonno, l’altra no. L’indomani era molto difficile svegliarsi dalla fase REM per quella che non aveva dormito abbastanza.
Una volta accadde che, siccome era ora, volendo trarre alla realtà con decisione, ma nel modo più delicato possibile quella che sognava profondamente (un’appassionata lettrice di Tolkien), la collega sveglia aprì la conversazione dicendo: «Buongiorno! Che mi narri?»
Dopo qualche secondo – necessario per “resettare bussola e giroscopio” – arrivò da sottocoperta una risposta alquanto allarmata: «I Minarri? Dove sono!?»
L’accaduto fece scalpore e in seguito, anche tra le altre abitanti della stessa casa, si aprì un dibattito su quale aspetto, forma e colore dovessero avere i Minarri. Figure aliene, mostruose e minacciose provenienti da chissà dove, oppure solo innocue creature fantastiche, magari assimilabili con qualche forzatura a già viste figure mitologiche?
Oggi, invece, purtroppo a me capita davvero che, nel mondo tendenzialmente sempre più standardizzato della Distribuzione editoriale on-line italiana, qualcuno registri velocemente ma senza la dovuta attenzione – e soprattutto senza rileggere – il sottotitolo della seconda edizione del libro: Encausto sul muro. Come realizzare praticamente un dipinto ad encausto su alterizio seguendo le ricette delle fonti classiche, leggendolo direttamente dalla copertina della prima copia cartacea, appena ricevuta, per inserirlo sul data-base del computer, nell’elenco delle nuove pubblicazioni.

Screenshot da google.it del 3/03/2023

Più o meno come accadde a suo tempo per i Minolli ed i Rostocchi celebrati dall’indimenticato Massimo Troisi, oppure per il più universalmente conosciuto, coriaceo, oviparo, parassitoide e bavoso Alien, si sa che quando nasce – ovviamente dopo un concepimento indesiderato – e subito dopo schizza in Internet, una creatura inquietante, nuova e replicante chiamata: Alterizio… del tutto sconosciuta, mai identificata prima, di cui neppure l’onnisciente Google sa nulla (e che quindi potrebbe essere pericolosa!), è poi molto difficile, se non impossibile, raggiungerla, domarla o magari sterminare tutte le sue infinite repliche. Infatti, dovrei rassegnarmi. Ormai è andata così; la “creatura” all’Ufficio anagrafe del Web è stata registrata così, poiché, tecnicamente parlando, l’incidente si è verificato a causa di un lapsus di trasposizione nella battitura della prima trascrizione del sottotitolo e al successivo, frenetico, acritico, copia-incolla generale tra un potenziale distributore/venditore e l’altro… e non c’è più niente da fare! Perché i responsabili (e le loro efficienti segretarie) della Distribuzione editoriale libraria on line italiana non hanno tempo per leggere, verificare ed eventualmente per tornare indietro a correggere quello che hanno involontariamente (voglio sperare!) generato. Insomma, la “mia graziosa creatura”, che già dalla prima edizione fiorentina del 2014 (esaurita) ha finalmente svelato e dimostrato praticamente, ai dilettanti volenterosi rifacitori del vero encausto parietale antico e agli studiosi di Pittura di tutto il mondo, come facevano praticamente gli antichi pittori di Ercolano o di Pompei a far brillare i loro splendidi intonaci affrescati sui muri di mattoni cotti… cioè di laterizio, sulla Rete mondiale (World Wide Web) dovrei tenermela così, con questo neo appiccicato in fronte (precisamente sul frontespizio) che è spuntato inaspettatamente, come un brufolo quando devi fare la fototessera ed è apparso su quasi tutti i cataloghi elettronici nel momento più delicato, alla nascita, cioè all’uscita della seconda edizione cartacea in italiano (sul sito: www.diodatoeditore.it è disponibile in e-book, la traduzione madrelingua di Julia Alexandra Mee).

In questo libro ho descritto come si può facilmente fabbricare “in casa”, con i dovuti accorgimenti, la cera punica, traducendo e svelando la ricetta descritta da Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia e come si utilizza praticamente con una sequenza fotografica. Ho mostrato gli attrezzi originali degli antichi, che sono esposti nei musei, quelli che venivano usati per “fare” l’encausto e quali attrezzi si possono utilizzare oggi in alternativa. Ho indicato anche i quantitativi precisi dei materiali da impiegare per preparare l’intonaco lucidabile da applicare sopra una tegola piatta di terracotta, oppure sopra un comune mattone (acquistabili presso i rivenditori di materiali edili). Infine ho spiegato il procedimento pittorico originale antico, che prevede l’impiego di pigmenti puri in polvere che infine venivano lucidati a specchio dal brunitoio e infine ripassati a cera punica. Ho documentato il tutto con una sequenza di foto a colori, in modo che chiunque possa ripercorrere le stesse procedure per ottenere la superficie durissima, lucida e specchiante, uguale a quella dei dipinti pompeiani esposti nel MANN (Museo Archeologico Nazionale di Napoli). Infatti, la collana editoriale nella quale questa pubblicazione è inserita, si intitola, appunto, Fac sic, cioè: “fai così”.

Ma nulla accade a caso e in fin dei conti, “ai fini pubblicitari”, è meglio così perché ci sono ancora lettori attenti – e segnalanti – (a cui con l’occasione voglio esprimere tutta la mia gratitudine), che si fanno due domande… e una risata. Infatti, vengono attirati proprio da quel sottotitolo strano, insensato, buffo, esposto frettolosamente nelle vetrine virtuali degli altri (non tutti) disattenti distributori/editori/librai/rivenditori ma, grazie a Dio, inesistente sulla copertina reale, quella di carta patinata, dei miei libri.

Riguardo all’indagine sulla probabile origine del guaio e per cercare di giustificare la sbadata mamma e battezzatrice di Alterizio (ho avuto rapporti postali solo con donne!), che forse, nel momento topico, si trovava sopraffatta dal lavoro oppure operava in modalità “navigatore automatico” (potrebbe essere), voglio ricordare quello che mi capitò quando ero un neopatentato di belle speranze, tendenzialmente anch’io sognatore, all’Arena di Verona.

Intorpidito, o meglio, ancora praticamente addormentato a seguito del sonnellino interrotto, mi recai, proprio nel momento più caldo e più afoso del pomeriggio, a comprare – con le lire sufficienti in tasca, elargite da mio fratello, che insisteva affinché andassi, (perché ci teneva alla mia formazione musicale) – un biglietto per lo spettacolo che sarebbe andato in scena più tardi, verso le 5 (le ore 17).

Avendo una innata repulsione verso le file mi diressi inconsciamente nell’unica zona dove non c’era la fila, sbagliando clamorosamente fornice e solo quando ormai mi trovavo davanti alla bella, bionda e riccioluta cassiera mi svegliai bruscamente… accorgendomi che era il botteghino per la distribuzione dei biglietti omaggio!

Anziché indietreggiare, “già che c’ero” decisi di provarci e con un sorrisetto ebete, gentilmente, ma con decisione dissi (una bugia):
– «Un biglietto omaggio, per cortesia».
– Lei, con altrettanto garbo: «Posso sapere perché ha diritto all’omaggio?»
– Io, (con aria sospirante e col tono imbarazzato, del melomane – disperato – che deve proprio confessare una colpa inconfessabile):
– «Perché… non ho più i soldi».

La cassiera, sorpresa e nello stesso tempo molto divertita dalla richiesta veramente inaudita e dall’atteggiamento altrettanto sui generis del tizio strampalato (ma probabilmente simpatico) che aveva davanti, trattenne a stento una risata, ci pensò un attimo e poi, forse credendo di avere a che fare con un novello teatrante con “faccia tosta”, in vena di verifiche improvvisate, o forse, con un suo corteggiatore attaccabottoni, sorridendo, compiaciuta, mi diede il biglietto.

E anche, sempre a proposito di incidenti causati dalla stanchezza, mi ritorna in mente la figuraccia clamorosa di un tale, che quando era stanco, specialmente nel chiacchiericcio della calura estiva, senza pensarci due volte fondeva sbadatamente i nomi delle cose o delle persone. Ad es.: «Guarda! Marilonica». Intendeva dire: «Garda! [passano] Marilena e Veronica». Rimase negli annali delle più esilaranti memorie giovanili quando, un pomeriggio, al mare, davanti ad una esterrefatta e compunta barista in bichini, ad alta voce – incorrendo in un tipico lapsus freudiano – pagò la consumazione di: «Un pompelmo e un panino».

Tornando alla realtà immateriale di oggi, un tantino pruriginosa, precisamente dentro le vetrine virtuali che vendono libri che trattano di Tecniche pittoriche antiche.

Credo che qualora dovessi proprio provare a sbarazzarmi di Alterizio e dei suoi duri, avidi (d’acqua) e spigolosi omonimi gemelli, approfittando del nuovo lancio editoriale del libro (che è stato già presentato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli) dovrei scagliarli ben oltre ogni gravità, nello spazio (web) più profondo, alla ricerca di un improbabile appiglio sulla prima cometa di passaggio. Oppure potrei inviarli con decisione tutti “a quel paese”, precisamente nel Paese dei Minarri. Chissà, a colazione potrebbero risultare un po’ croccanti, ma graditi.

Foto riprese in luce angolata – per mettere in evidenza il lucido caratteristico – e in luce normale (sotto), di una copia del Sileno da Solunto realizzata ad encausto su laterizio (cioè su tegola piatta di terracotta) nel modo descritto da Vitruvio nel De Architectura.

 

Ringrazio le allieve Elena Fratini e Martina Esposto per la collaborazione nella realizzazione della copia ad encausto qui presentata