I buoni colori di una volta. Ricettario fotografico per conoscere e fabbricare pigmenti, leganti, vernici e materiali artistici antichi, direttamente dai trattati medievali. (prima edizione, 2010) pubblicata su: Rivista Abruzzese. Rassegna trimestrale di Cultura. Anno LXIII, n. 4 (2010).

Una schedula diversarum artium moderna è il fitto volume di Sergio Paolo Diodato, professore di restauro dei dipinti all’Accademia di Belle Arti di Firenze, con tutto quello che avrebbe richiesto il testo di Teofilo, ma che il monaco della metà del secolo XI non poteva dirci.

   Conobbi l’Autore in occasione della presentazione del suo volume sul restauro della grande pala della chiesa dei Cappuccini di Guardiagrele, sua città natale, allo scadere del secolo scorso ed ebbi subito la sensazione netta di un restauratore degno di questo nome. E a distanza di oltre dieci anni ce ne dà conferma il lavoro di cui ci stiamo occupando perché il Diodato, per oltre vent’anni, è andato formandosi una solida cultura di restauratore frequentando corsi di specializzazione e approfondendo le cognizioni teoriche che sono alla base del restauro moderno, mettendole in pratica attraverso i non pochi interventi compiuti sia come titolare di una sua propria impresa sia come collaboratore esterno per conto di committenze pubbliche e private.

   Una sezione relativa alle nozioni tecniche, storiche e metodologiche sull’arte del restauro era già presente in quel volume, ma il frutto dell’attuale lavoro è tutt’altra cosa.

L’A. stabilisce un approccio diretto col lettore nel modo di porgere la multiforme materia attraverso un linguaggio accessibile e piano, quasi discorsivo, che invoglia alla lettura anche il non addetto ai lavori. I nomi inconsueti di pigmenti, le formule chimiche non a tutti familiari sono presenti in maniera da stimolare perfino la curiosità del lettore comune che si addentra in un campo a lui del tutto ignoto. Finanche il titolo dell’opera ha qualcosa di accattivante (e non credo di essere il solo a rilevarlo), leggendo il quale si è tentati – e può facilmente capitare – di sostituire inconsciamente buoni con vivi, in virtù di una martellante pubblicità che sa riferire buono soltanto a sapore! Qui buono invece ha, tra le tante accezioni, quella di genuino, autentico, “colori che si facevano una volta”, ma non per disconoscere la bontà dei colori di oggigiorno, bensì per invogliare allo studio di quelli di un tempo, quelli di diversi secoli fa, con i quali ha a che fare il restauratore, cioè colui che è deputato alla delicata e non facile opera di conservazione del patrimonio artistico.

   Se è vera, com’è vera, l’affermazione di Cesare Brandi, il quale sosteneva che è possibile restaurare solo la materia di cui è costituita l’opera d’arte, ne viene di conseguenza che è fondamentale per il restauratore la conoscenza profonda di quella materia per poter intervenire senza compromettere ulteriormente lo stato di conservazione del manufatto ligneo, metallico, pittorico e così via. Per questo l’A. non si ferma al mero dato tecnico, ma ama ripetere, documentandoli, una serie di esperimenti volti ad illustrare quasi dal vivo i risultati ottenuti con l’utilizzo dei materiali antichi di cui si ha notizia. Sì, perché il restauratore ha a che fare con opere che, di solito, sono lì da qualche secolo. A rendere ancora più chiaro il discorso concorrono le 400 nitide ed impeccabili fotografie che mettono sotto gli occhi del lettore la riproduzione di miscele, la realizzazione di colori di origine vegetale, minerale o artificiale.

   Delle tecniche antiche il Diodato non padroneggia soltanto la conoscenza teorica, ma specialmente la loro applicazione pratica, fornendo la riprova di certi procedimenti. Tra le tante foto, il volume ne accoglie alcune che riproducono copie di capolavori antichi ben noti, da lui realizzate col procedimento tecnico del periodo in cui l’originale è stato eseguito. Non certo per conseguire notorietà di copista, bensì per esperire quelle conoscenze di cui si sta parlando, riproducendo opere di noti artisti che le hanno messe in pratica secoli prima Una sorta – per così dire – dimostrazione a ritroso.

   Molto ci sarebbe ancora da dire e da esemplificare, ma il consueto spazio riservato a una recensione non lo consente.  Ci piace concludere però ribadendo che con questo libro l’A. va al di là del puro dato tecnico, supera cioè lo schema del “ricettario”, dell’arido trattato pieno zeppo di formule e ingredienti, spaziando nell’ambito della cultura tout court. Ne fa fede il gran numero di note a piè di pagina che ricalano il discorso in un milieu culturale secondo cui il restauro è (e deve essere) una vera e propria operazione critica.

                                                                                              Damiano Venanzio Fucinese٭

٭ Professore titolare della cattedra di Storia dell’Architettura presso la Facoltà di Architettura dell’Università “G. D’Annunzio” di Pescara.